La scienza delle donne. Lavorare alla ricerca nel Museo regionale di Scienze naturali Efisio Noussan
Quando si pensa ad un museo la nostra immaginazione va subito ai reperti o alle opere che contiene, ma raramente riusciamo a comprendere pienamente quali e quante siano le professionalità che lavorano dietro le quinte. In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza – l’11 febbraio prossimo – abbiamo pensato di iniziare a conoscere alcune delle persone che lo rendono vivo e vitale.
Abbiamo intervistato le ricercatrici del Museo di Scienze Naturali della Regione Autonoma Valle D’Aosta che lavorano alla Sede operativa di La Salle e che ci racconteranno del loro lavoro come scienziate, del loro percorso formativo e di cosa significa fare scienza.
Che importanza ha il sapere scientifico oggi e perché?
Come pensi che la gente percepisca la ricerca e la scienza in generale?
Francine – La scienza è poco presente nel panorama culturale, non che non sia ritenuta importante, ma in Italia non ha la stessa priorità delle scienze umane: lo si vede già alla scuola primaria e la cosa non migliora negli altri gradi di istruzione in cui si sente soprattutto la mancanza di una pratica scientifica. In generale, rispetto a temi scientifici, le persone non ricercano la verità e affrontano la questione facendosi guidare più dai sentimenti e dalla notizia last minute.
Velca – Oggi le persone non danno tanto valore alla ricerca scientifica forse perché sembra lontana dal concreto e dal quotidiano e non è facile comprendere la scienza in termini di funzionamento e obiettivi. Le informazioni che trovano in rete spesso non sono corrette o sono inattendibili. Per questo il ruolo dei divulgatori e degli educatori ambientali è centrale per la conoscenza e la sensibilizzazione scientifica.
La passione o la curiosità per la scienza l’hai avuta fin da piccola?
Francine – Non ho capito subito che la scienza era qualcosa che mi interessava, ma posso senz’altro dire che crescere in un villaggio di campagna, circondata dalla natura e dal verde, mi abbia in un certo qual modo aiutato a sviluppare la mia curiosità per quello che avevo intorno. Stare all’aperto, sperimentare giocando ha allargato la mia curiosità per la natura e in seguito per la scienza, anche se non ci sono arrivata direttamente. La mia formazione superiore è stata in ambito sociale e psicologico, in quella che un tempo era l’Istituto magistrale. Durante il mio percorso di studi ho incontrato un’insegnante di scienze che posso dire abbia senz’altro indirizzato la mia scelta universitaria, sia per l’amore che questa persona aveva per la sua materia, sia per il modo in cui la spiegava e la insegnava. Ho studiato inizialmente biologia e in seguito mi sono specializzata verso la zoologia, forse perché fin da piccola la natura e gli animali mi affascinavano più di ogni altra cosa.
Velca – La mia passione per la scienza nasce da quando ero piccolissima, soprattutto grazie ad un caro amico di famiglia. Durante le domeniche all’aria aperta giocando nei prati e nei boschi della Valle D’Aosta, Matteo mi raccontava le piante, le loro proprietà e particolarità, conosceva bene gli animali alpini, mi insegnava a riconoscere le orme, sapeva come imitare il richiamo degli animali e mi sorprendeva che riuscisse ad ottenere sempre risposta. Riconosceva ogni sorta di fungo e mi appassionava con tante curiosità. Crescendo mi sono interessata alla chimica, all’anatomia e alle scienze mediche, sia sui banchi del liceo scientifico. che facendo volontariato presso la Croce Rossa Italiana. Proprio in quegli anni ho scoperto il grande fascino che suscitava in me la ricerca, specie quando vedevo in TV o leggevo sui giornali le interviste e le storie di ricercatori. che in laboratorio studiavano e sperimentavano soluzioni per combattere e sconfiggere le malattie. È così che mi sono accorta che la natura e la scienza erano qualcosa di più di una semplice curiosità infantile e che potevano diventare il mio percorso di vita e lavoro.
Chi o cosa ha influenzato la tua scelta professionale?
Francine – Non è stata una cosa in particolare, ma piuttosto un insieme di opportunità. Un po’ mi hanno guidato il saper cogliere le occasioni e le varie esperienze vissute nel mio percorso lavorativo. Dopo gli studi ho cercato opportunità di lavoro in ambito scientifico: ho lavorato all’ARPA Valle d’Aosta presso il laboratorio chimico sulle acque, sono stata un’impiegata forestale, ma mi sono occupata anche di cartografia. Grazie ad una borsa di studio ho lavorato al CeRMAS – centro di ricerca delle malattie degli animali selvatici e per tre anni ho avuto modo di specializzarmi sulle analisi di laboratorio e in biotecnologiche, è stato un periodo formativo importante. Dopo diversi concorsi pubblici sono tornata in ARPA, ma questa volta nel settore aria e mi sono occupata di monitoraggio ambientale per due anni. Al rientro dalla seconda maternità ho lavorato come insegnante presso la scuola dell’infanzia. Infine sono giunta alla mia attuale posizione al museo di scienze naturali della Regione autonoma Valle d’Aosta. Questo percorso formativo apparentemente non lineare mi ha insegnato molte cose sulla scienza e le sue applicazioni, ma anche su me stessa e ha significato molto per la mia formazione professionale. Queste esperienze arricchiscono tutt’ora il mio lavoro quotidiano.
Velca – La scelta professionale è stata autonoma, avevo la propensione per un lavoro in ambito scientifico, ma più di tutto volevo che il mio lavoro potesse essere utile alla società: questo era il primo e fondamentale requisito.
Ho avuto conferma della mia vocazione in ambito scientifico durante uno stage estivo svolto presso un laboratorio di analisi valdostano, quando ero ancora una liceale e durante il lavoro biennale di tirocinio universitario presso la Microbiologia clinica di Pavia dove, apprendendo le differenti tecniche di analisi ed il funzionamento della complessa strumentazione, comprendevo quanto fosse essenziale il lavoro laboratoristico di precisione per garantire diagnosi e percorsi terapeutici mirati alla salute della persona. Ora mi occupo di ambiente e natura benché la mia formazione originaria sia stata in ambito medico, farmaceutico e veterinario, che ancora oggi è quello che più mi appassiona.
Qual è la parte del tuo lavoro che ti piace di più?
E quale quella che ti piace di meno?
Francine – Mi piace il lavoro pratico, quello che svolgo sulle collezioni del museo: rinfrescare un reperto, controllare che non si degradi, catalogare il materiale e altre cose di routine che sembrano noiose, ma che in realtà richiedono attenzione e competenza. Un’altra cosa che mi piace è rapportarmi con gli esperti come ad esempio, botanici, zoologi, più specializzati e competenti in vari settori. Così come le visite guidate alla sede espositiva, perché mi gratificano e vedo il mio lavoro concretizzarsi. A volte non mi piace sentire la mancanza di una specializzazione più settoriale o approfondita. La mia è una visione più generale sulla collezione e a volte mi fa sentire in difficoltà, perché vorrei specializzarmi sugli insetti o sulla flora ed essere pienamente padrona di un ambito più specifico, ma poi penso che mi piace rapportarmi con gli esperti o con altri conservatori museali, perché questo mi permette di apprendere molto da loro e crescere professionalmente.
Velca – La parte del lavoro che mi piace di più è sicuramente la ricerca scientifica, sia nella fase progettuale che in quella sperimentale di laboratorio. Ciò che mi affascina è arrivare a determinare qualcosa che in partenza era ignoto. Mi piace il senso della scoperta che caratterizza ogni prova di laboratorio e ogni progetto scientifico. Qualcosa che non conosco è sempre un incentivo allo studio e mi mette alla prova, per trovare soluzioni nonostante il percorso possa essere difficile e incerto e arrivare al fondo delle cose. La ricerca per me è un viaggio: quando ci si incammina verso un percorso di ricerca in laboratorio è come visitare un paese inesplorato, sconosciuto, che ti apre a nuove scoperte e ti regala nuove conoscenze, permettendoti di raccogliere esperienze concrete che possono avere un valore inaspettato. La parte di lavoro che mi piace meno è invece la noiosa, seppur necessaria, attività burocratica.
Pensi che le donne abbiamo ancora delle difficoltà ad affermarsi in ambito scientifico?
Che cosa servirebbe per migliorare la situazione?
Francine – Nella mia esperienza non ho notato grandi disparità di trattamento tra uomo e donna a parità di ruolo lavorativo, ma forse per emergere sì. Malgrado le cose stiano cambiando, una donna per fare carriera deve comunque mettere in conto delle rinunce, soprattutto se ha una famiglia. È difficile trovare tempo per tutto o distribuirlo in ugual misura. Io posso contare sull’aiuto dei miei genitori se ho bisogno per i miei figli, ma non tutti hanno la stessa fortuna. Fare carriera significa dover mettere in conto di dedicare ulteriore tempo al lavoro. La cura dei figli in Italia è ancora una principale prerogativa delle madri e le tutele lavorative per le donne, specie con figli, non sono ancora estese a tutti. Io stessa come borsista, al tempo del mio primo figlio, ho dovuto decidere di abbandonare il lavoro. La società offre ancora poche soluzioni e la questione della maternità non è la sola, basti pensare a chi ha delle persone anziane di cui occuparsi o altre esigenze familiari.
Velca – Penso che le donne abbiano ancora difficoltà ad affermarsi, che debbano dimostrare di più degli uomini o semplicemente che vengano viste come meno adatte al lavoro scientifico.
Per esperienza, soprattutto in ambienti a forte presenza maschile ho notato che la voce femminile non ha lo stesso peso di quella maschile; se è una donna che propone una ricerca o indica strade per la soluzione ad un problema. fa fatica ad essere presa in considerazione. Il pregiudizio verso la competenza delle donne è talmente radicato culturalmente, che influenza le donne stesse arrivate in ruoli di rilievo: quando ho avuto la fortuna di lavorare in contesti dove le donne erano a capo di un progetto le vedevo subire l’influenza maschile come se dovessero comunque avere l’approvazione del sesso opposto per essere sicure del loro lavoro. Credo che la maggiore consapevolezza sulla parità di genere delle nuove generazioni possa essere d’aiuto per abbattere vecchi schemi o stereotipi.
Quali consigli daresti ad una ragazza o ad una bambina che volesse intraprendere il tuo stesso percorso professionale?
Francine – Le consiglierei di avere tenacia come in qualsiasi altro percorso formativo.
Ci saranno dei momenti difficili in cui ci sarà la tentazione di abbandonare, ma se si trova un progetto di vita in cui credere bisogna trovare le proprie motivazioni. Quando sono stata in seria difficoltà con un esame universitario, mi sono aggrappata alla volontà di riuscire, era diventata una questione di principio. Non è stato facile, ma ci sono riuscita perché volevo passare l’esame. Sicuramente il mio carattere mi ha aiutato, ma questa esperienza seppur difficile, mi ha permesso di affrontare altre sfide, specie quelle fuori dall’università. Soprattutto però le direi di mantenere viva la curiosità e seguire i propri interessi. Il lavoro ideale è qualcosa che si scopre, per questo non bisogna essere troppo rigidi nelle aspettative, per non precludersi la possibilità di modificare i propri interessi. Bisogna mantenere la mente aperta e non avere paura dei cambiamenti. La curiosità è un elemento fondamentale che non andrebbe mia perso, ma che spesso si abbandona crescendo. Mantenere viva la curiosità non solo è fondamentale nel proprio percorso formativo, ma è ciò che fa cogliere le opportunità e salda l’esperienza.
Velca – Il percorso è lungo ed impegnativo, ma quando la passione ti accompagna tutto il resto passa in secondo piano.
Le direi di prepararsi ad una strada difficile, in cui sono essenziali la concentrazione e la precisione, ma soprattutto le direi di avare tenacia e costanza nello studio. Bisogna considerare la possibilità di doversi spostare, anche molte volte, prima di trovare la propria collocazione professionale e lavorativa. Spesso il lavoro di ricerca tende ad isolarti, specie nelle fasi di sperimentazione in laboratorio, per questo le ricorderei di trovare qualcuno con cui condividere il suo lavoro, anche di ambiti specialistici diversi.
La rassicurerei dicendole che comunque una formazione scientifica offre le basi e un metodo che le saranno utili per adattarsi e reinventarsi nei contesti più svariati; ho conosciuto una ragazza, in un laboratorio di genetica, che ha scelto ad un certo punto di diventare guardaparco. La sua precedente esperienza le ha permesso di essere più attenta e consapevole agli aspetti più tecnici e scientifici del suo nuovo lavoro, essendo capace di leggere dati e avendo acquisito abilità che normalmente nella sua attuale professione non sono così scontati.
Una breve biografia
Francine Navillod lavora presso la sede operativa del Museo, si è laureata in Scienze biologiche con specializzazione in conservazione e biodiversità animale presso l’Università degli studi di Torino. Si occupa della conservazione delle collezioni museali, di sviluppare e realizzare progetti didattici per le scuole, inoltre si occupa delle visite guidate al grande pubblico del museo di scienze naturali. Dedica parte del suo lavoro a progetti di ricerca sulla biodiversità e alla museologia scientifica.
Velca Botti è laureata in Biotecnologie mediche, farmaceutiche e veterinarie presso l’Università degli studi di Pavia. Lavora come biologa presso la sede operativa del Museo. Ha iniziato a lavorare per il Museo di Scienze Naturali della Valle d’Aosta nel 2012, nell’ambito in un progetto per la creazione di una unità di ricerca, che prevedeva l’allestimento di un laboratorio biotech dotato del primo sequenziatore per il DNA in Valle e per lo sviluppo e la conduzione di progetti operativi di ricerca. Attualmente si occupa di condurre progetti scientifici in ambito genetico, di progettazione e conduzione di laboratori didattici, divulgazione scientifica e di visite guidate presso la sede espositiva del Museo al Castello di Saint-Pierre.
Immagine di copertina Artem Podrez – Pexels